Ozieri ‘95, 1995
red concrete, Ø300 cm
La Pietra & il Ferro, Parco-Museo di Scultura Contemporanea all’Aperto, Ozieri, Sassari
“Tu hai citato Arbatax, le sfere: da questo punto di vista ritengo più chiaro l’intervento che realizzai ad Ozieri lo stesso anno (1995), dove feci questa installazione nella campagna, tuttora esistente, di tre sfere. Per me ha contato il rapporto con quel paesaggio fortemente caratterizzato dalla presenza delle Domus de Jana (che sono tombe di età preistorica) e la presenza del nuraghe, cioè tracce storiche potenti, che danno a quel luogo una connotazione fortissima. A quel punto, è stata una sorta di riflessione proprio sul nostro rapporto con il tempo e con la storia, con le tracce umane: osservando le aperture delle Domus de Jana avevo l’immagine di terribili silenzi parlanti, queste buche nere che vedevo da lontano le percepivo proprio come degli eventi parlanti con il loro silenzio antico. Allo stesso modo, le cornacchie che giravano sul nuraghe o che mi giravano attorno quando sono riuscito ad arrampicarmi sul nuraghe e a guardare il paesaggio intorno: sentivo il rumore del vento che mi sfiorava le orecchie e guardavo questo paesaggio antico e riflettevo sul senso che poteva avere un mio segno in una contestualità di questo genere, che tra l’altro avevo scelto. Avevo scelto quello spazio rispetto a quello che mi era stato proposto, più ‘urbano’, della cittadina che sta a una decina di chilometri di distanza: invece di lavorare dentro la città, ho scelto questo spazio esterno laddove esistono tracce di passaggi umani. Però, vicino al nuraghe e alle Domus de Jana, la strada asfaltata con la condotta elettrica e la linea telefonica sono un segno altrettanto tangibile della contemporaneità, di quello che viviamo oggi. La decisione è andata su una sorta di segnalazione e di percezione del nostro mondo come un mondo di costante confine.
Ricordo, mi sono deciso di fare queste sfere come dei segni di tangenza su un orizzonte che è sempre più in là: la percezione del nostro territorio ormai è una percezione di natura sferica, così come la percezione dello spazio intorno è come una sfera che si espande all’infinito; la linea orizzontale non è più la linea dell’orizzonte, la terra la vediamo sempre più spesso dai satelliti. Queste cognizioni intervengono sul nostro guardare, vedere: queste considerazioni, che mi hanno spinto a costruire questi segni come passaggi, che segnano un attimo dello scorrere del tempo, come segnano un luogo solo nella dimensione di un graffio nella spazialità che ci sta attorno, che ci capita di praticare fisicamente. È una società che si espande nelle sue possibilità concrete: ricordo una emozione straordinaria in aereo sul cielo del Giappone, aprendo l’oblò e guardando fuori ho visto questo azzurro diffuso e due macchie che ho fatto fatica, nell’essere assonnato, a riconoscere cosa fossero, ed erano due isole, però non c’era la linea dell’orizzonte, c’era solo questa immagine di un blu strano e queste macchie – ero dentro una nave spaziale (dentro un aereo che mi portava a Seul). Oggi viviamo di queste esperienze e allora si hanno dei momenti in cui l’emozione ti prende anche stando seduto su un nuraghe, vedere lo spazio intorno e immaginare di lasciare un segno, il segno di un passaggio, al quale non dai più neppure tanta importanza nell’elaborazione formale, circoscrivendola ad un segno semplice e a un tempo complessissimo come la sfera. Ti trovi in quell’attimo di panico e non sai bene se fare o non fare, se quel fare ha senso o se non ha senso, se è giusto forzare quello che già hai fatto con una cosa che ti sembra in quel momento possibile ma impossibile per il senso.”
Scolpendo i contesti, segno per segno, conversazione fra Mauro Staccioli e Tommaso Trini, Milano 2000