Djerassi ‘87-’91, 1987-1991
sei sculture, compensato, catrame, reticolato metallico e stucco verniciato
Djerassi Resident Artists Program, Woodsite, California
Fu agli inizi degli anni ottanta la prima volta che incontrai Mauro Staccioli: fu un incontro che mi scosse, un colpo d’occhio senza preavviso, deciso, ma non violento; Staccioli, infatti, è un artista troppo acuto per essere brutale! Tuttavia i postumi di quel momento sono visibili ancora a oggi e non mi riferisco alle “contusioni”, che ormai sarebbero certamente scomparse, ma a un qualcosa che ha lasciato un segno profondo: l’enorme scultura in cemento di Celle che è stata capace di catturarmi come poche altre forme geometriche esposte in installazioni scultoree en plein air. Buon sangue non mente, è il caso di dirlo, l’opera di Celle appartiene, infatti, a una delle più spettacolari collezioni d’Europa, quella di Giuliano Gori, che si trova a Celle (Pistoia). Il contrasto tra il cemento, materiale tipicamente urbano, e la sua collocazione in un ambiente incontaminato, quasi selvaggio, tra alberi e cespugli, mi ha convinto a tal punto che ho pensato che un esperimento simile a questo doveva essere condotto anche nel Nuovo Mondo.
Nel 1987, Mauro Staccioli trascorse il primo dei suoi cinque soggiorni al Djerassi Resident Artists Program, nel centro da me fondato nel 1979 dedicato alla memoria di mia figlia Pamela, artista promettente che morì suicida all’età di 28 anni. Inizialmente, sembrava che Staccioli fosse lì soltanto per passeggiare tra piante di corbezzoli e querce americane, nella foresta di sequoie situata nelle montagne di Santa Cruz che si ergono sull’area della Baia di San Francisco, nel parco in cui si trova il nostro centro, da sempre frequentato da europei. Staccioli camminava faceva schizzi, il suo inglese migliorava ogni giorno di più garanzie alle amicizie con molti artisti, in particolare il fotografo Bob Tyson. Dopo qualche settimana, annunciò che voleva presentare un progetto che intendeva collocare tra le vecchie querce americane, i cui lunghi rami toccavano quasi il suolo, creando l’impressione di uno spazio esterno a volta.
I suoi schizzi sembravano interessanti, ma nessuno di noi poteva immaginarsi un progetto di quella portata, che andava evolvendosi in modo sempre più complesso, fino a diventare uno straordinario gruppo di sei sculture. Le realizzò in tre soggiorni successivi, nel 1988, 1989 e 1991, su una superficie di diversi ettari. Il primo oggetto, un enorme tetraedro fissato al terreno grazie a un puntello bilanciato tramite un ulteriore puntello al tronco di un albero, appariva poco stabile, tuttavia riuscì a resistere al terremoto di Loma Pietra nel 1989, che causò ingenti danni nella zona della Baia di San Francisco. Io, da chimico quale sono, ero decisamente compiaciuto, dentro di me pensavo di averlo in qualche modo ispirato. Il motivo è il seguente: inconsciamente Staccioli aveva scelto la figura geometrica più chimica in assoluto: la struttura tetraedica del carbonio con l’atomo al centro e le quattro valenze ai vertici (il tetraedro è figura importante in chimica, tanto che anche una delle più importanti riviste di chimica organica si chiama, appunto, “Tetrahedron”).
La seconda installazione di Staccioli non aveva precedenti geometrici o chimici, l’ispirazione agli era venuta infatti da una sorta di cavità creata dalla crescita anomala di una quercia. All’interno di essa, Mauro ha inserito un’asta di circa sei metri, che io interpreto personalmente come una lancia proveniente dall’Olimpo scagliata da Zeus a dimostrazione della sua abilità. O ancora, come un enorme ago celeste, lanciato sulla terra da una dea che lo ha battuto in rapidità. Le tre forme successive, ognuna sostenuta in modo precario dal ramo o dal tronco di un albero, si ispirano a parallelogrammi o triangoli. L’ultima di esse è bilanciata da un solo puntello; durante il terremoto del 1989, il gigantesco triangolo si accasciò, senza tuttavia creare ulteriori danni. Tornato nel 1991, Staccioli chiese che il triangolo fosse ricollocato nella sua posizione originaria, e non solo, ne raddoppiò addirittura le dimensioni, quasi a voler sfidare un eventuale sisma, che sicuramente colpirà la zona di San Francisco nei prossimi cinquant’anni, se non prima. L’acme della sua produzione al Djerassi Resident Artists Program è la scultura più alta di tutte, una colonna di quindici metri a forma di mezzaluna, che si erge abbracciata dai rami di un’enorme pianta di corbezzolo.
Camminando tra queste strutture, imponenti alla vista, tutte in delicato equilibrio tra loro o sostenute dalla vegetazione, sorge spontanea una domanda: come ha potuto realizzare oggetti così imponenti e pesantissimi senza supporti meccanici senza un team di assistenti? La risposta è semplice, le sculture sono composte esclusivamente da compensato ricoperto da uno strato di catrame, reticolato metallico e stucco, poi verniciato con colore grigio: una superficie perfetta per il gioco di luce tra le foglie e i rami della vegetazione circostante. Ma l’elemento che riflette maggiormente la magia dell’installazione è l’apparente contraddizione tra le decise linee formali degli enormi oggetti geometrici realizzati con materiale industriale, e l’irregolarità della vegetazione che li ospita e li sostiene. Senza natura, la struttura non potrebbe reggere, dal punto di vista estetico né sul piano funzionale.
Il terreno su cui è situato il Djerassi Resident Artists Program porta il nome di “SMIP Ranch”, l’acronimo del nome scelto inizialmente, cioè “Steroids Made it Possible” (gli steroidi hanno reso possibile tutto ciò) che io ho poi modificato in “Sic Manebimus in Pace” durante la guerra del Vietnam. Ora penso che potrei anche interpretarlo come “Staccioli Made It Possible” (Staccioli ha reso possibile tutto ciò).
SMIP Ranch, Woodside
20 marzo 2002
Carl Djerassi,Staccioli at Djerassi, in Mauro Staccioli in California a cura di Francesca Pola, Istituto Italiano di Cultura, Los Angeles, 2002, pp. 72-74